Sono ottantadue le famiglie che vivono nelle case popolari di Villa Rosina, in via delle Oreadi. Famiglie, spesso con una propria dignità, ma quasi sempre senza quel reddito stabile e sufficiente per sopravvivere. Case popolari che sembrano abbandonate dall’IACP.
Alcuni condomini sono in condizioni disastrose. Portoni d’ingresso o saracinesche divelti, ascensori non funzionanti. Pare che vi ci sono insediati anche degli abusivi, ma nessuno, dal Comune, sembra che controlli od intervenga.
Cerchiamo di ascoltare qualcuno degli abitanti.
«Vorrei un lavoro effettivo – ci spiega un giovane ventiseienne – invece faccio il muratore alla giornata. Vorrei comprare un auto, ma non posso accedere ad alcun finanziamento». Vive di lavoro nero e precario, insomma, ma ha già, sulle proprie spalle, la responsabilità di mantenere la famiglia, mamma e due fratelli; suo padre è andato via di casa.
Lui non ha mai rubato, non lo ritiene dignitoso, ma certi suoi amici pensano che sia «più conveniente piuttosto che lavorare».Ci racconta anche di chi, anche solo per recuperare qualche decina d’euro per la dose di droga, deruba pure i distributori automatici di gadget per bambini.
«Sentiamo una distanza con gli altri, quelli che vivono al di là delle quattro corsie della circonvallazione – continua –
e la sentono i bambini del quartiere che non hanno al-cun spazio dove giocare se non la strada».Là dietro quella barriera naturale che è la circonvallazione, spesso anche strada della morte, c’è un campo di calcio, lo possono vedere dalle finestre, ma non possono accedervi, ora lo gestisce la squadra del Trapani. La convenzione prevede che ai giovani del quartiere tocca la “scuola calcio” gratuita … ma a loro chi lo dice?Andiamo ad incontrare
padre Franco Vivona, il parroco del quartiere. Anche padre Franco denuncia l’uomo che ha disegnato questi
«casermoni». Denuncia la
«ghettizzazione» degli abitanti delle case popolari. Lui, assieme ai volontari della Caritas, ha cercato di conquistare la fiducia della gente, di assisterla nei bisogni più immediati, di farla uscire dall’isolamento. In parte c’è riuscito.
Padre Franco ci spiega come un duro colpo al quartiere sia stato inferto dalla «chiusura delle aule delle classi elementari e medie che erano allocate nel quartiere, perché rappresentavano un positivo centro d’aggregazione e socializzazione».
Resta solo la Chiesa, ora. Col proprio corso di catechismo, col proprio piccolo oratorio, con un tavolo da tennis tavolo e qualche biliardo. Ed il proprio centro d’ascolto.
«Ci vuole che il quartiere esca dalla mentalità dell’assistenzialismo – afferma padre Franco – Oggi, invece, si cerca e si trova spesso solo il tizio che ti risolve il problema immediato».
Padre Franco, ed i volontari della Parrocchia, si adoperano, invece, per cercare, ove possibile, di trovare risposte più solide «abbiamo inserito qualche persona più bisognosa e volenterosa nella cooperativa di lavoro della Caritas diocesana. In un altro caso abbiamo indicato la strada a chi, pur avendone il diritto, non sapeva come accedere ad un posto di bidello».
Il parroco è consapevole che quel che si fa è insufficiente. Ci vorrebbero degli insegnanti per attivare un corso di doposcuola, ma non si trova alcun volontario. Per il centro d’ascolto sarebbe opportuno poter disporre di figure professionali, ma, per ora, non ci sono.
Ringraziamo padre Franco per quanto fa per la Comunità e ci lasciamo il quartiere alle spalle, convinti, invece, che ad essere assente è il Comune che potrebbe, ad esempio, utilizzare i garage al piano terrano dei condomini per sistemarvi dei servizi, un laboratorio d’arte, o magari proprio quel dopo-scuola che manca ..