La Mafia aveva, ed ha, le mani sulla città
TRAPANI, 9 APR – Nel settembre 2005, nel mezzo dell’entusiasmo collettivo per le regate trapanesi della Coppa America, decidemmo di ricordare Mauro Rostagno non solo con le tradizionali iniziative di “Ciao Mauro”, ma anche con un documento di analisi su tutto quello che stava succedendo. Con quel documento – intitolato “Le mani sulla città“ – provammo a offrire degli elementi critici per smascherare la propaganda utilizzata da politici e imprenditori trapanesi secondo i quali i cantieri del porto, la “riqualificazione” del centro storico, l’organizzazione dei grandi eventi e la realizzazione delle grandi opere sarebbero stati la chiave di volta per il definitivo sviluppo della città di Trapani.
Il problema è che non basta rifare il trucco a una città se, dentro, resta irrimediabilmente marcia.
A otto anni di distanza, la maxioperazione antimafia che ha portato al sequestro di beni del valore di trenta milioni di euro a due costruttori trapanesi, svela uno scenario che – assai modestamente – avevamo in qualche modo profilato, specialmente per le sue implicazioni politiche e sociali.
Al centro dell’inchiesta ci sono tutti i “fiori all’occhiello” orgogliosamente esibiti negli scorsi anni dall’ex sindaco di Trapani, Fazio (il più amato dai trapanesi), e dal senatore d’Alì, padrone indiscusso di questa disgraziata città: dalle assurde dighe foranee del porto (su una delle quali si sono tragicamente schiantati due aliscafi) alla banchina del Ronciglio (cominciata e mai finita, a due passi dalla Riserva delle saline, a causa della mancata Valutazione di Impatto Ambientale); dalle nuove basole del centro storico al frangiflutti sottomarino della Litoranea Nord con annesso dragaggio – fuori norma – del fondale. Anche i lavori della Funivia per Erice (quella che ha sventrato la montagna) sarebbero stati inquinati da infiltrazioni mafiose.
Per anni siamo stati costretti a subire la potente macchina del consenso e della propaganda.
Peccato, però, che le grandi opere venivano realizzate a colpi di decreti d’urgenza, che i materiali utilizzati erano scadenti, e che tutto veniva fatto in dispregio dell’ambiente.
Qual è il valore del cosiddetto “sviluppo” se il prezzo da pagare è il dominio mafioso grazie al quale lavorano solo gli amici degli amici, e alle loro condizioni?