Avulss Trapani: 30 anni di amore verso il prossimo
TRAPANI, 16 OTT – «Il Volontario AVULSS è accanto a chi soffre, intende aiutarlo a superare i momenti di difficoltà e si offre come punto di riferimento», ci spiega Antonino Stabile, 67 anni, pensionato, presidente della sezione trapanese dell’AVULSS, che conta quasi 70 soci-volontari.
Si rivolge, soprattutto, ai malati ricoverati in ospedale, agli anziani ricoverati nelle case di riposo, ai carcerati.
L’AVULSS e’ una Associazione di volontariato cattolico fondata, nel 1979, a Milano, da Don Giacomo Luzietti, e diffusa, oggi, sull’intero territorio nazionale contando su oltre 11 mila soci.
La Sezione di Trapani ha appena compiuto trenta anni di attività e li ha festeggiati lo scorso 5 ottobre con una doppia manifestazione (una messa presso l’Ospedale Sant’Antonio Abate ed un dibattito svoltosi presso la sala “Santa Chiara” del Seminario Vescovile di Erice).
In questa occasione abbiamo raggiunto a Stabile, per comprendere come “lavorano”, a chi rivolgono la loro opera, ne è nata, più che un’intervista, una testimonianza.
Puoi ascoltare l’intervista AUDIO INTEGRALE A QUESTO LINK (8:25 minuti), oppure, più semplicemente ascoltarne una sintesi seguendo il VIDEO RIDOTTO A QUESTO LINK (2:56 minuti). A nostro parere vale la pena di ascoltare la viva voce di questo testimone.
L’anziano, ma assolutamente arzillo, presidente ci ha raccontato di come i volontari aiutano, sia fisicamente ma soprattutto psicologicamente, chi sta male, e soprattutto, vive in solitudine.
Ci ha raccontano di come i volontari si mettono a disposizione per ascoltare le parole dei loro interlocutori, per farsi carico delle loro storie; di come sono vicini agli anziani del Vulpitta o dell’Ospizio Marino, organizzando mensili conviviali per festeggiare i compleanni dei loro “ospiti” lì “depositati” da familiari troppo “impegnati”; di come supportano le detenute del carcere di Trapani offrendo loro, tramite lavori femminili di cucito, la possibilità di trascorrere in maniera attiva le lunghe giornate dietro le sbarre.
Di certo una forma, la loro, concreta di “vivere” la loro cristianità, molto lontana da chi la vive soltanto la domenica “tirata a lucido”, per un’ora, durante la messa.