Quel Bronx di nessuno
“Occorre condurre a termine il recupero dei quartieri abusivi e adottare progetti di recupero di quelli degradati. Massimo impegno sarà profuso … per piccoli passi, per integrare i quartieri nel tessuto sociale del resto del territorio cittadino”. Così afferma il sindaco di Trapani nella relazione presentata in Consiglio comunale e facente riferimento alla propria attività del secondo semestre del 2004.
Ma se è corretto riconoscere che taluni interventi di recupero sono stati avviati o, comunque, programmati, per i quartieri di Villa Rosina (opere di urbanizzazione primaria), Rione Palme (rifacimento della rete idrica), Cappuccinelli (che sarà, si spera in bene, stravolto, grazie al “contratto di quartiere” elaborato da l’Istituto Autonomo Case Popolari), bisogna pur rilevare che l’Amministrazione ha dimenticato un quartiere, quello di Fontanelle-Milo.
Il quartiere di Fontanelle-Milo assimilato, per cattiva fama, al Bronx di New York o allo Zen di Palermo, nella relazione semestrale non è neanche nominato. Ed è sufficiente farsi un giro in quel quartiere per capire che è stato dimenticato da tutti. Parafrasando un libro di Carlo Levi potremmo dire che “Dio si è fermato a….. Villa Rosina”. Un dio minore certamente, quello che decide chi e cosa recuperare e come farlo, e nel nostro caso ha deciso di fermarsi ben prima e di non estendere a questo quartiere i progetti di recupero, pensati invece per altri più meritevoli (serbatoio di voti più ampio?).
L’unico accenno alla zona è stato fatto dal sindaco nella relazione semestrale relativa al primo semestre 2004, dove si sottolineava che “L’Amministrazione proprio per eliminare la realtà dei quartieri-ghetto … ha deciso di inserire all’interno di Fontanelle Sud un ufficio comunale, al fine di garantire la presenza costante dell’Istituzione….”.
Questo centro è di facile individuazione, proprio accanto ad un altro centro, quello gestito dai volontari del servizio Civile della Caritas: Quest’ultimo rappresenta l’unico raggio di speranza in quartiere abbrutito dalla miseria e dall’abbandono. In quello comunale invece non c’è nulla, neanche una targa: ogni mattina un impiegato si limita ad aprire e chiudere il locale. Dentro è deserto, non ci sono sedie, non ci sono scrivanie, non ci sono neanche operatori, assistenti sociali, psicologi, nulla.
Ignorare la situazione in cui vivono tanti bambini e tanti giovani è grave, perché vuol dire rischiare di ricreare un ambiente al di fuori della legalità, che assolve il piccolo boss facendone un eroe e vede le istituzioni come il nemico da combattere.
E’ necessario ribadire ed, in casi come questo, affermare ex-novo, il controllo del territorio, è fondamentale offrire servizi al quartiere e soprattutto ai ragazzi che vi abitano. Un distaccamento di polizia municipale, un campetto per giocare, una delegazione del comune, un ambiente più consono alle necessità della vita insomma e magari un centro sociale che funzioni davvero, che sia sostanza e non solo apparenza. Nelle azioni, ancor più che nelle intenzioni o nelle parole, è il destino ed il recupero di questo quartiere.
Bisogna mostrare un’apertura, che è difficile ma il centro gestito dai volontari del servizio civile della Caritas dimostra che è possibile. Certo loro ci mettono amore e non tutti ne sono capaci…