L’angolo del Libro: Mecca maledetta
Ci sono tragedie, collettive e nazionali, che non si possono descrivere e narrare: troppo grandi, per potersene fare un’idea, soprattutto per chi le apprende attraverso stampa e tv.
Tra quelle vi è il disastro somalo, il cui ultimo, catastrofico atto, risale proprio al 1990, anno in cui l’ematologo Pippo Salvo – di cui Salvatore Mugno si occupa in questa sua pubblicazione – fu trovato impiccato in una caserma di Mogadiscio. Era il 19 giugno 1990.
Lo studioso italiano si era recato in Somalia per tenere delle conferenze scientifiche, invitato dall’Università della capitale somala.
Il “caso” apparve subito “oscuro”: qualche intrigo e delle bugie impedivano di conoscere gli avvenimenti che avevano accompagnato quella morte. Se ne occuparono i giornali, alcuni ministri, il parlamento, la RAI…
Al di là della crudele vicenda della soppressione del giovane e promettente scienziato siciliano, rappresentata per quadri rapidi e puntali, secondo il modulo dell’inchiesta in chiave narrativa, Salvatore Mugno lascia nitidamente trasparire il travagliatissimo sfondo politico delle “storiche” relazioni italo-somale e si interroga sulla “natura” di quel popolo africano, per il quale – come scrisse Said Mohamed Abdullah Hassan, il “Mullah pazzo”, uomo politico e celebre poeta somalo – «Opprimere i musulmani è più gustoso del dattero del Dacam. Rispettano solo chi incute loro paura».
Una nazione che sembra, insomma, nutrirsi di maledizioni, verso se stessa e contro il mondo intero.
Mugno raccoglie le tante voci di un coro che, se disperse, potrebbero risultare troppo flebili per ricordare e denunciare le ingiustizie e le malefatte dell’allora dittatore Siad Barre, “pupillo” dei politici italiani dell’epoca, spesso cinici e cialtroni, quando non corrotti… e per salvaguardare la memoria di un valente studioso e di un uomo con tante qualità.
Insieme ai dati giudiziari del “giallo”, l’autore pone le testimonianze di colleghi, amici, famigliari di Pippo Salvo, di cui racconta anche la singolare storia d’amore con Antonina, la moglie.
Un libro bello, onesto, documentato, si dovrebbe perfino dire di impronta “civile”, che alla via orecchiabile, “facile”, del poliziesco – oggi così tanto di moda – preferisce il taglio giornalistico-giudiziario per provare a diradare alcune delle tante menzogne e ipocrisie in cui tutti oggi siamo costretti a sguazzare.